Smarrito in un deserto di macchia mediterranea e circondato da muretti a secco, il Clos de Fées sembra una foto da cartolina. Qui le vigne sono state piantate con la zappa tra sfioramenti di roccia madre, in piccole sacche di argilla pura, e zigzagano tra lecci imponenti. Le pietre sono state scalzate dalle vigne una dopo l’altra, a mani nude o con l’aiuto del cavallo, e poi impilate con pazienza e precisione da generazioni di vignaioli, resistenti alla fatica e poco avari del proprio tempo.
Vigne dalle braccia tormentate.. Gli anziani del paese raccontano che, per quanto vadano indietro con i ricordi, le hanno conosciute sempre “vecchie”.
Lontano, le falesie blu di Vingrau, quasi verticali, esistono da tempi ben più lontani, battute quasi ogni giorno dai venti di tramontana. Ai piedi dei Pirenei, vicinissimo, scintilla il Mediterraneo. Se le fate si ritrovano ancora e danzano nella notte del solstizio, lo fanno qui, in questo luogo singolare, diverso, misterioso.

Senza riflettere davvero e guidato dall’istinto, ho deciso di vivere in questo luogo, fino in fondo, la mia passione per il vino. Dapprima giovane sommelier e in seguito ristoratore, poi scrittore del mondo del vino e del buon vivere, ho avuto la certezza, in un periodo di transizione della mia vita, che dovevo entrare nel “fare” per conoscere veramente, talvolta senza capire, tutti i passaggi grazie ai quali un pezzo di legno scuro crea, anni dopo, un nettare indimenticabile.
Piccoli appezzamenti di vigne vecchie, qualche potatore, un piccolo piccone e un nebulizzatore a spalla: qui, tanti vignaioli hanno lavorato solo con questi attrezzi, lontano dalla profusione di mezzi e tecniche. E’ così che ho cominciato, in un luminoso mattino del 1997, senza soldi, senza posta in gioco ma pieno di grandi speranze.
Da quel momento, la pelle si colora e si abbronza velocemente, le mani si rovinano e tutto il corpo soffre, si tende, e spesso si blocca. Oggi lo so: la vigna, nella sua realtà quotidiana, è ben lontana dall’ambiente ovattato dei grandi ristoranti.

Consigli, prove, ricerca di uno stile, discussioni e dibattiti infiniti: i primi vini della proprietà sono frutto di un miracolo fatto di amicizia, di attenzione e soprattutto di solidarietà, parola che ha ancora un senso nel mondo del vino. Esito spesso nel raccontare, ancora oggi, la prima annata del Clos des Fées, perché sembra che nessuno mi creda.
In fondo ad una cantina prestata da un amico potevamo diraspare, spesso solo dopo che aveva terminato di utilizzarla per i suoi lavori giornalieri. Mi ricordo di quattro piccoli tini in resina, di una pompa degna di un rigattiere, di garza e della forza delle nostre braccia come unico mezzo per torchiare, di un rastrello per la rottura del cappello. C’era poca uva, parte della quale racimolata da vigne abbandonate, e tante ore di selezione, cosa assai logica data la mia scarsa esperienza in vigna. Molta fatica e un’idea di disperazione in certe sere, ma anche molta allegria, passione e incoscienza. Annata calda e secca, il 1998 permette alle nostre idee e ai nostri metodi, nuovi nella regione, di realizzare vini diversi che seducono immediatamente e indicano il percorso: tener duro, continuare.

Miracolo! Dal mese di aprile i vini sono venduti en primeur. Meno male: se ciò non fosse accaduto, sarebbe stato impossibile continuare: non c’erano le risorse. In ogni caso bisogna lavorare in altri modi, come previsto, per assicurare il quotidiano. Il nostro banchiere, rassicurato, ci accorda un nuovo prestito. E’ l’inizio di una lunga serie..
L’anno è segnato dalla trasformazione del garage domestico in mini-cantina di vinificazione. Coliamo una lastra di cemento, installiamo l’impianto elettrico, trasferiamo le vasche e ne compriamo due nuove in inox. Il gruppo refrigerante per le vasche è troppo caro, quindi in vinificazione pomperemo l’acqua fresca e pura dal lavatoio che si trova dall’altra parte della strada. Meglio avere idee, se si hanno pochi soldi..
Cresce l’estensione del vigneto. Sette ettari in produzione, ma solo 15mila bottiglie. Bisognerà abituarsi, poiché ormai le piccole rese fanno parte dei nostri geni. Il 75% dei vini affinano in barrique nuove, in particolare una nuova selezione vinificata in demi-muids (mezzo moggio). La gamma si arricchisce. L’entusiasmo per i vini del Domaine è inaspettato, e si conferma lentamente la certezza di essersi stabiliti in un grandissimo terroir.

Nove ettari in produzione e prime piantagioni: un ettaro e mezzo di Syrah qualitativa su portainnesti selezionati. Il versante della collina è aspro e terribilmente in pendenza. Avremo un trattore, un giorno, adatto ad arare un appezzamento così? Vedremo. L’acquisto, un giorno o l’altro, prenderà solo qualche minuto; la vigna, lei, ha bisogno di tempo per crescere e radicarsi. Nell’attesa, la motozappa dovrà risolvere la questione. Scegliamo il tutore individuale, l’alberello ci obbliga. Vengono a guardare, con discrezione, quegli strani picchetti. Ci prendono in giro. Poi, velocemente, copiano.
In vendemmia, la cultura del “grand cru” fa la differenza. Nulla sostituisce la mano dell’uomo. Quest’anno, stranamente, tutte le uve raggiungono la maturità nello stesso momento. Utilizziamo il tavolo di cernita per l’ultima volta, ma non lo sappiamo ancora… arrivano in cantina due nuove vasche più adatte alle nostre piccole rese, e una pompa peristaltica che consente di rispettare al massimo il mosto. La barricaia si arricchisce, migliorano le condizioni di lavoro. La stampa comincia a parlare del Clos des Fées. Tuttavia, l’emozione che i nostri vini suscitano resta per noi una sorpresa e una meraviglia.

Oltre 1500 ore d’interventi al verde ci permettono di aspettare la piena maturità dell’uva con relativa serenità. Arrivo di Serge, che assume la responsabilità della vigna e ci porta l’esperienza e l’istinto di chi ci è nato. Arriva anche il trattore, prima del previsto, giusto in tempo per preparare le nuove piantagioni (un ettaro di Syrah e 50 are di Mourvèdre da selezione massale). Addio motozappa e carriola. In realtà, erano così difficili da maneggiare che nessuno li rimpiangerà. I vaporizzatori a spalla e a motore, invece, di sicuro non spariranno mai: sono insostituibili nelle vigne in forte pendenza.
Con quattro persone a tempo pieno e qualche stagionale per dieci ettari in produzione, ragioniamo nella logica di un’azienda agricola che aspira all’eccellenza. Troviamo in affitto, finalmente, una piccola cantina per le barrique in paese, e sarà anche l’anno della seconda pompa peristaltica: pazienza, terremo la Saxo… Rischiare è sempre più importante. Tuttavia solo un pensiero anima la nostra ricerca: fare vini magici…

Le annate si susseguono e non si somigliano. Il 2002 sarà ricordato come un’annata incerta, segnata dal cielo coperto per tutto il periodo di vendemmia, tanto tardiva quanto precoce era stata quella del 2001. Cieli da antologia ma anche molte domande e incertezze per quella che bisogna proprio definire come la nostra prima annata difficile. Ora, osservando con distacco, è stata un’annata appassionante e ricca d’insegnamento.
Il rispetto totale delle vecchie vigne piantante con sesto d’impianto di 1.5m x 1,5m, ci convince all’acquisto di un portattrezzi idrostatico cingolato che permette, d’ora in poi, di arare quasi dappertutto. Essenziale in quest’annata, nella quale i terreni arati avranno l’acqua in profondità. Seguendo l’arrivo dell’autunno, sarà necessario essere in sette per passare e ripassare in rassegna i quindici ettari in produzione per sorvegliare e pulire ogni ceppo fino al… 28 ottobre.
Vini stupendi, freschi e maturi nello stesso tempo, nei quali le reali qualità esploderanno durante l’invecchiamento. Con l’arrivo di un piccolo gruppo refrigerante in cantina smettiamo di pompare acqua dal lavatoio. E’ la fine di un’epoca.

Annata da canicola. A Vingrau le vigne sono abituate a soffrire di stress idrico. Vitigni e portainnesti sono selezionati da secoli per queste caratteristiche. Due arature con il cingolato e con il mulo alla fine dell’inverno e all’inizio della primavera hanno permesso di eliminare le radichette superficiali dove i trattori gommati non potevano passare. Le radici affondano di nuovo alla ricerca d’acqua e di nutrimento, si radicano ancora più in profondità nella roccia per esprimere la verità e la mineralità di un terroir.
Breve blocco di maturità a settembre. Basta aspettare e, lentamente, tutto torna in ordine. Carignano incantevoli, molto tardivi, dato che li abbiamo vendemmiati fino al 23 ottobre. Con una freschezza da togliere il fiato, ci confermano l’idea dell’importanza di procedere subito con l’uvaggio e vinificare le uve insieme. In bottiglia, durante l’invecchiamento, i vini non assumono le caratteristiche del vino “cotto” che tutti temevano. Nuova piantagione a 12mila ceppi per ettaro. Ma i terreni non sono pronti a sufficienza e dopo due anni di lotta sfibrante, bisogna decidersi a estirpare un filare su due.
La natura ci riporta all’ordine e all’umiltà.

Anno della maturità. L’azienda raggiunge una ventina di ettari. La produzione di cinque, di sicuro, non potrà entrare nel garage, diventato troppo piccolo, e questo ci obbliga a tenere solo l’uva più bella. Niente paura, è un passo voluto: poiché tutte le vigne sono considerate “grand cru” e l’annata è stupenda, in vendemmia la scelta è tragica, ma l’eccellenza garantita. Si riapre una vecchia cantina in paese, e le vasche in cemento sono riparate per vinificare le “Sorcières” che continuano a migliorare la loro qualità grazie all’arrivo delle uve del giovane Syrah.
Dietro al trattore cingolato un interceppo ultrasensibile accarezza la base delle vecchie vigne, che godono nel ricevere queste coccole. Si pianta un pezzettino di Cabernet Franc in selezione massale, accompagnato da qualche pianta di Tempranillo: buon pretesto per continuare a darci dei matti.. Grandi vini E bella annata per il tartufo, il che rappresenta un fatto raro.

Grande annata, successo eccezionale per i vini e per la proprietà. A maggio la Revue des Vins de France dichiara che d’ora in poi siamo “le domaine n.1 en Roussillon”. Come invogliare tutti a superare se stessi…
Inverno umido, pochi bottoni fiorali in tutti i vitigni e colatura in molti appezzamenti di Grenache. Estate calda ma senza siccità né canicola. Grazie a due nuove pompe di calore, d’ora in poi possiamo riscaldare e rinfrescare la cantina. Anche due nuovi nebulizzatori arrivano al momento giusto: la pressione dell’oidio è stata costante durante tutta l’estate. La squadra, ben collaudata, conduce un’esemplare campagna d’interventi in verde, unendo velocità, precisione e minuzia. In vendemmia lo stato sanitario è perfetto e il tavolo di cernita resterà in granaio. Vinificazioni facili. Vini ricchi ma tesi, precisi e tonici. Frutto strepitoso e complesso. Qualità tannica eccezionale, vini da invecchiamento che si riveleranno durante l’affinamento. L’annata farà epoca.

Quando ci si rende conto che si pratica il “Kaisen” giapponese senza saperlo.. Un amico di passaggio ci spiega i principi che si basano sul “miglioramento progressivo e costante dei minimi dettagli, nella speranza di ottenere un prodotto in grado di soddisfare il cliente più esigente”. Quest’anno cambiamo tutta l’attrezzatura per la coltivazione, ossia i tre trattori, poiché preferiamo adattare questi alle nostre vecchie vigne piuttosto che il contrario. Ogni dettaglio conta, nel cammino verso l’eccellenza..
Ci raggiunge l’ottavo collaboratore, mentre la superficie del vigneto sfiora i 30ettari dopo l’acquisto (irragionevole…) di un versante di vecchio Grenache abbandonato, che tutta la squadra cercherà disperatamente di salvare per oltre due mesi, sotto vento e temperature glaciali. Inverno freddo e piovoso, germogliazione tardiva, niente pioggia tra maggio e metà settembre, vendemmia faticosa dove bisogna rischiare. Vinificazioni pazienti per estrazioni delicate, vini concentrati e potenti alla svinatura, che l’affinamento rivelerà. Annata memorabile per i porcini.

L’anno del vento. A dir poco, 200 giorni. Un vento marino o una tramontana fredda e nervosa che gela la pancia d’inverno e fa diventare matti d’estate. Prima raccolta della nuova parcella di Syrah su granito di Lesquerde. Il suo nome, particolare, porta di nuovo l’attenzione su di noi. Il vino è eccezionale, ed è tutto ciò che conta. A marzo, quando la squadra ha appena cominciato a tirare il fiato, ci chiamano per tentare di evitare l’estirpazione di 30ettari di vigna e 40 di ulivi abbandonati. Impossibile. Niente mezzi, né economici, né materiali, né umani. Passiamo comunque a dare uno sguardo. Colpo di fulmine. Mentre la squadra si rimbocca le maniche, si fanno lavorare i neuroni. Il nostro banchiere segue. Grazie all’aiuto della Safer, eccoci affittuari per due anni. Ci riusciremo? Mistero, ma gli alberi e i ceppi sono salvi. Prima raccolta di olive, da tavola e da olio. Vendemmie facili, sotto il sole e il buonumore. Lieviti un po’ pigri. In primavera gli zuccheri finiscono e i vini si rivelano: cremosi, sensuali, rigogliosi di frutti e di tannini setosi. In lingua inglese si dice “Pashmina tanins”. Per festeggiare la nostra decima vendemmia, non potevamo sperare di meglio.

L’anno “sorella Anna” (metafora da un personaggio del racconto La Barbe Bleue di Charles Perrault), nell’attesa dell’acqua che non è mai arrivata. Inverno mite, secco, ma con piccoli temporali primaverili perfetti per accompagnare la germogliazione. Bei bottoni fiorali. Poi, quattro mesi di siccità. Cieli grigi, plumbei, pronti a esplodere: ce ne sono stati per quindici o venti giorni durante l’estate. Ma di pioggia no, malgrado i nostri desideri, le nostre preghiere, le nostre danze e i nostri canti… Le vigne, tuttavia, sono restate verdissime, anche in piena estate, grazie alle correnti marittime. Tentiamo, come “il boa del Piccolo Principe che aveva ingoiato un elefante”, di integrare il Mas de la Chique, i suoi 15 mila ulivi e le sue vigne, abbandonati. Piogge divine l’11 settembre che rinvigoriscono le vigne assetate e ci permettono di vendemmiare uve brillanti, dal colore nero ebano. Vinificazioni senza problemi, vini sexy nonostante i tannini ben presenti. Prima annata della nostra nuova selezione di Cabernet Franc “ un fauno con il suo piffero sotto gli ulivi selvatici”. Le 849 bottiglie vanno a ruba in cinque giorni. In etichetta, il fauno invecchierà con noi, ogni anno. Piccolissima raccolta di olive verdi, splendide Lucques nere.

Annata dove era necessaria molta umiltà. Insieme alla tolleranza, le due virtù più importanti secondo Confucio… Inverno freddo, tanta pioggia a dicembre. Tempesta memorabile a febbraio, che tronca la grande quercia del Clos des Fées. Bei bottoni fiorali, fioritura omogenea in una primavera perfetta. Tanta, ma davvero tanta Tramontana durante l’estate, senza una goccia di pioggia tra giugno e la fine di ottobre. E’ l’anno nel quale la gestione della crescita dell’erba è stata la chiave di tutto, tanto la concorrenza idrica era forte.. Se avessimo ancora qualche dubbio sull’importanza dell’aratura, eccolo svanire. Per me è senza dubbio il percorso da seguire nella produzione di grandi vini in periodo di riscaldamento climatico. Se coltivare oltre 100 parcelle ci fa spesso girare come asini per tutto l’anno, in questo tipo di annate benediciamo il cielo per averci dato una tale diversità di terroir, precoci o tardivi, per avere a propria disposizione, in vendemmia, una scelta di uva tanto diversificata. Grande annata per le olive.

Inverno secco e freddo fino a marzo, con piogge regolari, senza particolari eccessi. Estate secca, luglio caldissimo, bella pioggia il 23. Agosto rovente e quindi annata “normale” qui: calda, secca, nella quale bisognava aspettare per sbloccare la maturità fenolica. Dopo dodici vendemmie, non sono più il giovanotto inesperto dell’inizio; ho imparato a dare tempo al tempo. La squadra è ormai solida e, per la prima volta, ho l’impressione di poter finalmente prendere “quota” un poco, di allontanarmi un poco dal delirio quotidiano per riflettere sulle cose che bisogna fare o non fare, entrambe importanti allo stesso modo.
Cambiamento – piccolo- nell’evoluzione del Vieilles Vignes, con l’affinamento del Grenache noir in piccola vasca di cemento. Un pò più di Mourvèdre, inoltre, quest’anno, nel Clos des Fées, perché era stupendo. Una nuova selezione, “Images Dérisoires”, a base di Tempranillo, unito per pura intuizione a un poco di Carignano nero, completa la mia trilogia dei vini “strani”, il mio spazio di libertà.

Che cosa intendiamo per annata del secolo? Una qualità eccezionale. Una sensazione di abbondanza. Una percezione di “facilità” durante l’intero ciclo vegetativo. Un’allegra vendemmia, lunga e serena. Vini buoni dalla svinatura, che resteranno tali fino all’ultimo giorno della loro vita, senza dubbio, per tanto, tanto tempo. Se questa è la definizione di “annata del secolo”, allora la 2011 è una di queste, per noi, in Roussillon. Pioggia in primavera, bei bottoni fiorali su tutti i vitigni, fioritura splendida, estate fresca grigia ma senza pioggia, 60 giorni di bel tempo durante la vendemmia e tuttavia senza una giornata con più di 30 gradi, notti fredde: avremo avuto tutto il tempo per vendemmiare e vinificare uve magnifiche. A metà raccolta le vasche sono colme e sappiamo che, forse, non potremo portare tutto dentro. Il bel tempo permette di aspettare, parcella dopo parcella, che l’ultimo acino sia perfettamente maturo. Concentrazione, finezza e soprattutto un frutto eccezionale. Annata da sogno, della quale si parlerà a lungo.

«La fortuna aiuta gli audaci». Da bambino, adoravo questi vecchi detti. Da grande, la verità contenuta nelle loro parole ancora mi stupisce. Stanco di sentirci lamentare dei tanti progetti e del così poco denaro per realizzarli, alla fine di un pranzo fra gli ulivi un cliente ci lancia questa provocazione: «E che diavolo fareste se foste in possesso di dieci milioni di euro?» Buona domanda. Affrontare, fra le altre cose, questo poggio che ancora mi fa sognare, dopo dieci anni e che, con pazienza, ho ricomposto, parcella dopo parcella, nonostante fossi persuaso che non avrei mai avuto i mezzi necessari per rimetterlo a coltura.

La banca? Impossibile. Un azionista? Perderemmo la nostra libertà. E se chiedessimo ai nostri clienti? L’idea si fa strada, ma poi si blocca, riprende, e languisce di nuovo davanti al muro dell’interminabile iter burocratico e delle potenziali eccedenze da pagare anche nel caso in cui non avessimo venduto nulla. Poi un pranzo, un nome che ne richiama un altro, un consiglio, geniale, alcune lettere, delle idee, una possibilità e,  alla fine del 2011, cento clienti che diventano azionisti del Clos des Fées. Più del denaro, che ormai non sarebbe venuto a mancare più, i nostri partner ci forniscono il tempo, quello che permette di accelerare ma anche di rallentare. Ecco che una nuova dinamica si è messa in moto.

Un inverno tremendo. Freddo, grigio. Tre terribili acquazzoni, che a due mesi di intervallo mettono a dura prova le nostre velleità di procedere con la piantagione. Si comincia, con decisione, dal risanamento di una lontana collina con l’idea,  un po’ stramba, di piantarci del… Pinot Nero. Dissodare, tracciare i solchi, tutto viene trascinato via, ma l’acqua ci mostra dove vuole passare e dove dobbiamo rispettare i suoi desideri. La speranza si mescola alla paura, perché so che fra dieci anni, in mancanza di risultati, saremo forse costretti ad estirpare.

La primavera à gelida. Colatura storica sulla Grenache, soprattutto sulle parcelle più tardive, a 400 metri di altitudine,  potate tardi. Poi, condizioni perfette, eccetto per quelli che avevano tralasciato il famoso «rame del 15 agosto», che permette di evitare la peronospora a mosaico e quindi di vendemmiare alla maturazione. Quindici giorni di ritardo, fine il 28 ottobre, giorno in cui le generazioni di una volta giungevano a conclusione.

Un’annata buona per un grande invecchiamento, di gloria per tutta la Linguadoca-Rossiglione, dove verrranno prodotti alcuni fra i più grandi vini francesi. La decisione di imbottigliare una quantità insensata di Jeroboam per le generazioni future. Un particolare, dal Clos des Fées, il Carignan, magnifico, va a compensare il deficit nella Grenache. Incantevole, sin dall’inizio, sul pepe nero, le spezie, la confettura di lamponi, con una nota finale alla liquirizia, e complesso, probabilmente a causa di un settembre particolarmente freddo.

Una primavera fredda, in ritardo e piovosa. Delle belle uscite, e una fioritura eccezionale sulla Grenache. Estate calda ma senza canicola, con vento quasi permanente, da carezzevole a insopportabile. Una finestra di trattamenti estremamente breve, mentre un Dio burlone sembrava godere di un piacere maligno, obbligandoci a procedere coi trattamenti solo nelle notti durante i fine settimana.

Le parcelle che vengono vendemmiate in ordine, tardivamente, in condizioni perfette, alla maturazione. E una pausa, per procedere con la nostra abituale «toelettatura prima della vendemmia», durante la quale viene esaminato ogni grappolo.

Ma ecco sopraggiungere la Drosofilia Suzuki… In pochi giorni, generazione dopo generazione, l’insetto parassita di origine giapponese comincia a invadere tutti i vigneti della regione. Qua e là qualcuno diceva: «Si riprende». Pochissimi erano, invece, quelli che ammettevano che, quest’anno, la fine della vendemmia era stata decisa non per volontà dell’uomo, ma per volontà di un insetto minuscolo e dal rostro dentellato, che gli consente di pungere anche l’uva sana. Per fortuna, non ci mancavano che una decina di ettari per rientrare. Spostiamo d’urgenza tutti i raccoglitori di olive verso i vigneti. Una squadra di circa trenta persone seleziona l’uva in piedi, facendo cadere nei grappoli il più piccolo chicco toccato. Dietro, una decina di raccoglitori e di portatori tagliano, poi, quello che rimane. Due ettari che non vengono vendemmiati. Un «Clos des Fées » ricco, che si articola su dei tannini ben evidenti. Una struttura che colpisce e un frutto importante, per una Petite Sibèrie potata per durare.

L’anno della transumanza. Ci spezza il cuore lasciare il garage. Diciassette anni passati a produrre vini a casa, sentendone i profumi già dal proprio letto, o scendendo nel bel mezzo di un pasto per verificare la temperatura.

Deturpare la vallata, in direzione Rivesaltes, impensabile. Una nuova cantina. Non è più lei a decidere, a costringermi, ma io stesso. Per il vino, la tecnologia è come il denaro nel poker: serve per potersi sedere al tavolo da gioco, ma non è grazie ad esso che si può vincere. Torchio con punta e scoli refrigerati, vasche tronco-coniche invertite, una piccola cantina con botti, finalmente climatizzata, insomma, tutto il minimo necessario ma sufficiente. L’uomo resta alla base del processo: è lui che decide, può sicuramente commettere degli errori, certo, ma   è fuori questione che una macchina possa applicare una ricetta senza incorrere in un’uniformità generale. Alcuni lo pagano caro, questo errore, noi questo sbaglio non lo faremo. Mi ritorna un po’ di tensione, ricordando una conversazione con Marcel Guigal sulla flora del lievito presente nelle cantine e l’importanza di conservarla. Tutti i contenitori vengono portati nella nuova cantina, sperando nella conseguente formazione dei lieviti.

Una vendemmia generosa, e una grande annata, con questa nota vellutata unica che si deve ai terreni argillosi e calcarei di Vingrau che possiede, in più, questo angolo luminoso, e questa energia, che dà l’impressione che il vino sia animato di vita propria. Descritto in maniera incredibile in Wine Advocate con una raffica di 97/96/96/95/93/93. Cartone pieno e valutazione migliore di tutta la Linguadoca-Rossiglione.

Questa è stata, per volume, la vendemmia più esigua da quando il dipartimento tiene delle statistiche.  Un autunno mite, un inverno secco, una primavera quasi senza una goccia di pioggia. La vite, però, abituata alle condizioni semi-desertiche del Rossiglione, si è preparata all’estate, come se ne avesse «sentore»: germogli deboli e poche foglie, per evitare l’evaporazione e la traspirazione. Una colatura generale sulla Grenache a seguito di un’ondata di caldo durante la fioritura. Meno di 400 mm durante l’anno, quell’anno durante il quale il clima, in Francia, non avrebbe potuto essere più secco.

Per tutto quell’anno, per adattarsi, sono stati necessari un sacco di energia, di lavoro, di riflessione: modifiche organiche, adattate, rinforzo con oligoelementi alla radice dopo l’analisi dei piccioli, numerosi lavori leggeri per iniettare dell’aria in superficie e creare una zona di dieci centimetri, utilizzando l’aria come isolante, così come avevo visto fare in Sicilia.

Vendemmie veloci, bacche piccole, certo, ma sazie di sole; cantine piene per metà, ma con un frutto intenso e delizioso. Dopo sei mesi di coltivazione e una selezione ristretta ecco che, alla fine, ci si è dovuti rassegnare ad annunciare la raccolta più esigua del Clos des Fées. Eppure, è una raccolta appagante, potente, vigorosa, setosa, profonda, leggera.

Un’annata complessa, questa, versatile, allo stesso tempo rapida e lenta. Delle vendemmie precoci in pianura (iniziate l’8 agosto…), tardive sulle alture (finite l’8 ottobre). Delle vendemmie pesanti, fatte di periodi incalzanti, ma anche di momenti di attesa. In breve, due vendemmie. Si conclude la prima. L’uva non m’ispira più di tanto. Bella, ma niente di più. Sarà, in prospettiva, un’annata media? Quindici giorni dopo, però, ecco che si impongono le colline. La cantina si riempie immediatamente di profumi, si sente che sta succedendo qualcosa.

Il gelo, potente, dell’inverno spiega, probabilmente, queste differenze. Germogliate prima del gelo, le viti hanno seguito il loro percorso: fa freddo, acceleriamo; per poi cambiare rotta dopo il gelo: fa freddo, rallentiamo. Finalmente, forse. Fine della Mourvèdre, più di due mesi dopo i primi bianchi. Al momento della colatura, cerco invano i vini che credevo medi: sono spariti, sostituiti da succhi di struttura, aromatici, dalla consistenza densa: è una gran bell’annata. Uguale a quella, leggendaria, del 2007, ma ancora in divenire.

La piantagione a Espira-de-l’Agly diventa oggetto delle allegre beffe dei vicini: alcuni mi preannunciano che non germoglierà niente. Ma c’è questo, che a me piace parlare coi vecchi, e qualcuno mi racconta che, qui,  vent’anni prima, la vite era proprio bella. Ride bene chi ride ultimo, insomma.

L’annata della peronospora. Alcuni credono che non esista, qui. Il clima è cambiato, le annate piovose sono un ricordo raccontato dagli anziani, che rimangono inascoltati. Il problema della peronospora è che, quando ci si accorge della sua presenza, è già troppo tardi.

Serge, a lui proprio non la si fa. Viene dal Rodano. In quelle regioni, sanno che la peronospora può distruggere tutto. È una malattia «che si modella». Si sa che arriverà, in base a ciascun evento temporalesco e alle temperature.
A fine inverno, un po’ per caso, un amico giornalista mi consiglia un vecchio libro, scritto nel 1930: «Come combattere la peronospora della vite», di Joseph Capus. Lo compro, lo leggo, lo metto in pratica: cominciamo a trattare i terreni, a dosi infinitesimali, e si ricomincia dopo ogni temporale o aratura. Un anno di lotte, grazie al meteo dei quindici giorni, che ci consente di fare persino i trattamenti col rame sotto la pioggia, prima che il suolo si imbeva.

Poi, sei mesi di siccità estrema. Vendemmie senza fine, che arrivano al 17 di ottobre, quando la natura ci dà il colpo finale: 100 mm di pioggia durante una burrasca di alcune ore. Ma è un’acqua benedetta. Il Clos des Fées 2018: particolarmente aromatico, dall’equilibrio sbalorditivo, con un solo problema, essere venuto dopo il 2017, che sarà da ricordare come una perla rara. Il tempo li dividerà.

Fuoco nei vigneti. Il 28 giugno, un episodio di canicola estrema, accompagnato da uno scirocco cocente, devasta i vigneti di quelli che non si erano premuniti di ascoltare il meteo e che, quindi, non avevano fatto il trattamento con lo zolfo, anche il giorno prima. 52° nel Gard. Le previsioni meteo a dieci giorni ci hanno salvato. A maggio, il tempo volge al freddo, bruscamente, per poi cedere davanti a un’estate canicolare. Raccolta precoce in pianura, perché la vite si riprende. Poi, il 12 settembre, la pioggia, magicamente, fa riprendere le maturazioni e rallenta il ciclo, per una crescita prolungata e profonda.

Il Syrah è ricco, la Mourvèdre fantastica, la raccolta voluminosa, la cantina si riempie di botti, per la prima volta: rompo il salvadanaio per acquistarne di nuove. A partire dalla primavera, la degustazione dei vini, così ben definiti, è tutta un gran piacere, e si fa sul posto. Mi prende la voglia di cantare. Il Clos des Fées, leggero, tra potenza e tensione, la Petite Sybérie strutturata, sferzante come una spada, e quasi nodosa alla fine. L’annata sopravviverà anche dopo di me.

L’annata del Covid, senza dubbio… A febbraio, l’isolamento generale. I nostri fedeli trattoristi, preoccupati per le loro famiglie, pensano a far rientro in Polonia. Piove incessantemente, e tutto diventa assai complicato. Per dieci giorni cerchiamo delle soluzioni alternative, e un potenziale futuro ci si profila davanti: perdere il 100% della raccolta. Tutti si fanno solidali, il lavoro o, piuttosto, la lotta, riprende, durante un’annata in cui, e siamo in primavera, la pioggia non si ferma.

Ormai è risaputo, le annate attaccate dalla peronospora richiedono più fatica, ma sono generose, tanto più che un’estate secca e calda ci permette di fare delle vendemmie perfette. La cantina regge il passo, le vendemmie sono intense, l’annata delle Sorcières è probabilmente una delle migliori, e il Domaine de la Chique è indiscutibile. Poco Clos des Fées, la selezione è drastica.
Ecco l’incontro con Jean-Yves Bizot. Con meraviglioso stupore reciproco. Tini in legno, vendemmie complete, senza zolfo, senza interventi. Il progetto sul Pinot porta i suoi frutti e il vino ci inebria, scatenando questa «estensione dell’anima» in cui avevamo sperato otto anni prima. La collina è decisamente cambiata… E un nuovo progetto comincia a definirsi.